sabato 2 febbraio 2008

Lavoratrici e madri

(*)

"Siamo costrette a fare le donne-giocoliere, quelle che tengono insieme tutto: lavoro a casa , lavoro fuori, mille incastri, tante responsabilità".
Chiara Saraceno

E' uscito "Il corpo e il sangue d'Italia. Otto inchieste da un paese sconosciuto"ed. Minimum fax., un volume a più mani curato da Christian Raimo. Il paese sconosciuto è ovviamente l'Italia, gli autori sono 8 giovani giornalisti e scrittori che indagano diverse realtà nostrane con un approccio nuovo, cioè con un coinvolgimento e una partecipazione personale abbastanza lontani dal reportage tradizionale. Tra di loro c'è Silvia Dai Prà, nostra concittadina, autrice de "La bambina felice", da noi già segnalato quest'estate.
Il suo lavoro, "Cuor Crocifisso", prende il titolo da un verso di una poesia di Ada Negri che l'autrice ha imparato alle elementari, in occasione della festa della mamma, infatti il riferimento è al cuore sanguinante di una madre che si annulla per amore del figlio.
Silvia prende spunto dal Family Day, durante il quale ha intervistato varie partecipanti per poter analizzare qual è oggi la situazione della donna che lavora e il suo rapporto con la maternità.
Ne emergono riflessioni piuttosto amare, inquietanti, anche se non del tutto sorprendenti e che si possono riassumere in un dato di fatto: l'incompatibilità tra gravidanza e lavoro. Per le trentenni d'oggi, che sentono ticchettare sempre più forte l'orologio biologico, mentre ancora devono entrare a pieno diritto nel mercato del lavoro, non ci sono molte alternative. Il mercato considera la dipendente donna affetta dal "rischio maternità", pertanto tende a non assumerla oppure a proporle contratti in nero.
"Flessibilità" è oggi la parola magica, ma per la donna questo non si traduce in aiuto nel conciliare famiglia e impiego, spesso è invece non rinnovo del contratto quando scade, oppure un part time che ti lascia sì modo di conciliare tempi di lavoro e tempi di vita ( ovviamente a stipendio dimezzato), ma che crea sottoccupazione, precarietà, impossibilità di carriera.
L'unico settore dove si può essere contemporaneamente lavoratrice e madre è quello dell'istruzione pubblica: un paradiso, anche se raggiunto a caro prezzo, dopo anni di precariato.
Se l'inchiesta fosse riconducibile solo a quest'analisi, non si distinguerebbe da tante altre, Silvia però si mette in gioco: le difficoltà della trentenne aspirante lavoratrice/madre, sono le sue difficoltà. Più che interviste sembrano ricerche di una risposta a un'esigenza personale, è la sua ansia quella che emerge quando racconta di Angela, Elisa e le altre. Ricorda con lucidità le Grandi Donne della sua formazione (de Beauvoir, Woolf, Nin, Morante , guarda caso tutte donne che non hanno avuto figli).
E poi un altro ricordo affettuoso, quello della Bianchina, la bisnonna ultracentenaria, che ha cresciuto figli, nipoti e bisnipoti cucinando, ma anche giocando e raccontando fiabe alternate a racconti di guerra. La Bianchina, come tutte le nostre nonne, non ha mai messo in discussione il ruolo che storicamente le era stato assegnato (figli, marito, famiglia), e che ha perpetuato per 3 generazioni.
Infine ci si interroga sui papà. Dove sono? Quando una donna rivendica qualcosa per sé, si procura ansia e sensi di colpa. E gli uomini? Chi è disposto a rinunciare alla carriera per star vicino ai figli?
Le riflessioni di Silvia mi trovano perfettamente d'accordo..
Credo anch'io che la rigidità dell'organizzazione del lavoro e dell'impresa oggi penalizzi la donna: a causa dell'alea della gravidanza a parità di primo impiego lo stipendio della donna è inferiore del 12% a quello degli uomini. E il trend non cambia nel tempo. C'è inoltre la discriminante culturale per cui il potere resta saldamente in mano agli uomini che in esso si riconoscono e investono. Le donne spesso non sanno valorizzare quello che fanno, risultato di una bassa autostima e della dimensione gratuita che il lavoro femminile ha sempre avuto.Eppure il lavoro della donna è il vero motore dell'economia italiana, la produzione-ombra che non è pagata. Il lavoro svolto all'interno del focolare, se misurato, varrebbe quasi il 33% del Pil (più di 400mila milioni di euro.
Sono conclusioni amare quelle cui giunge Silvia, c'è un senso di tristezza e frustazione nel suo "è così, che vuoi farci?" che sembra un po' in contrasto con la grinta che il suo percorso lascia trasparire. O forse, pur consapevole del fatto che "a furia di respirar rassegnazione, quella rassegnazione ti si attacca addosso", è altrettanto determinata a scrollarsela di dosso.
(by Annacarla)

(*) Le due gemelle
dipinto di Vittorio Zani

2 commenti:

Unknown ha detto...

L'Italia è un paese che non investe nel futuro,che non vede nei figli lo stimolo nel migliorarsi.
In questo lungo protrarsi della crisi napoletana dei rifiuti si sente parlare di inceneritori e discariche,
in spregio a quello che succederà ancora riguardo la salute e la vivibilità in generale.
Non c'è volonta di andare avanti,
non sappiamo guardare ad altri popoli che investono nei propri figli con asili nidi anche nell'aziende,con parchi giochi belli e funzionali,con sostegni alle famiglie anche economici,con supermercati e ipermercati attrezzati all'accoglienza infantile.
La colpa è anche delle donne,troppo succubi dello strapotere maschile,
parlo delle donne che contano:
le politiche,l'imprenditrici,le amministratrici di aziende pubbliche.
C'è bisogno di cambiamento a tutti i livelli nel nostro paese,
ormai è URGENTE.

Anonimo ha detto...

Ya, son conclusiones penosas aquellas de Silvia; pero hemos ya visto y oido un montòn de veces articulos, busquedas y estadisticas sobre el hecho que la mujer desde el punto de vista del trabajo està fuertemente discriminada.
Ya sabemos que la plena incorporaciòn de las mujeres al mercado del trabajo es un objetivo dificil de lograr, entoces ¿porqué en cambio de hablar, entrevistar y llegar a conclusiones, desgraciadamente, descontadas no se hace algo? Necesitamos en serio, como dice Mattia, de un cambio urgente pero por favor no me digas que si vivimos en una situaciòn tan grave es tambièn por nuestra culpa! Y propio porquè te refieres a las mujeres del mundo de la politica, de las administraciones y de las empresas, en cuanto simplemente han ocupado un modelo ya planeado y dificil de borrar. Lo mismo ha pasado con las grandes mujeres de qué habla Silvia: Woolf, Nin, Morante.
Es la hora de destruir la imagen de la mujer qué no puede trabajar y tener familia porqué no es asì que quieremos ser; tomamos como ejemplo Anne Phillips, o mejor, Iris Marion Young y desde ahì, desde el sistema politico "democratico" empiezamos.