Leonard Cohen,Ring the bells
Ventidue anni sono trascorsi da quella mattina del 26 giugno del 1997, in cui Ingemar Lindh moriva a Malta. Il suo Istituto Svedese di Arte Scenica era arrivato a Pontremoli nel 1984 e, tra piccole e grandi difficoltà, era rimasto per tredici anni. Luogo di ricerca, studio, formazione teatrale, fece di Pontremoli la meta di gruppi di giovani da tutta Europa. Era però una missione che non coincideva con i nostri pregiudizi e le nostre preferenze. Era una crepa nel nostro muro, e non vedevamo la luce che da lì entrava. Come tanti, tendiamo a credere che tutto il mondo sia il nostro film, dove noi siamo i divi e tutti gli altri sono semplici comparse mentre la vita è in realtà una straordinaria e sorprendente improvvisazione collettiva. Credo che in quegli anni Pontremoli, allontanando da sé Ingemar, abbia perso un treno annunciato. Pontremopolis era il titolo, evocativo, di uno degli ultimi spettacoli dell'Istituto d'Arte Scenica.
"Nonostante che uno faccia qualcosa di diverso dagli altri, egli partecipa fatalmente a ciò che gli accade intorno e ne diventa parte. Attraverso i suoi atti concreti l’individuo è costantemente in rapporto con la società. Nel momento in cui prova a partecipare in generale, viene escluso": questo raccontava Ingemar. Nell’attenzione al particolare, all’atto concreto, risiede il segreto dell’improvvisazione collettiva. Una lezione di teatro e di vita, mentre da più parti con sollecitudine interessata ci vorrebbero, oggi come ieri, spettatori ai margini o coprotagonisti cooptati e allineati, comunque esclusi.
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