sabato 26 settembre 2009
Ennio Flaiano,sulla strada di Pontremoli
"Così ragionando, arrivammo sulla strada che porta al colle della Cisa, e qui la domenica italiana era nel suo fulgore pomeridiano. Non soltanto nei paesi ma anche lungo la strada, nei tornanti che avviluppano i colli a guardia del Taro, il passeggio festivo era intenso, sbadato, animato di conversazioni e di giuochi, sicché sembrava che stessimo attraversando un’unica immensa città. Per buon tratto seguimmo a passo d’uomo una processione, anzi la nostra macchina che chiudeva il corteo dei fedeli, ne fu, a giudicare dagli sguardi delle Figlie di Maria, l’attrazione più vistosa.
Fermi davanti ai bar e alle osterie, gli uomini discutevano immobili come statue scese dai loro piedistalli, con quel peso che soltanto la gente di campagna riesce a far sentire nelle loro membra. Passavano i carabinieri di servizio, col sottogola e il moschetto, un cacciatore se ne andava col cane in motocicletta, con le zampe sul manubrio anche lui, nella improvvisa serietà dei cani che fanno una cosa da uomo; o un gelataio ci guardava masticando un filo d’erba.
In piena solitudine ci salutavano ragazze ardite vestite a festa, che passeggiavano allacciate raccontandosi i loro segreti d’amore, oppure parlando della nuova moda, mentre i giovani sornioni le seguivano giocando con una palla e fingendo, al nostro passaggio, di perdere l’equilibrio e di voler finire sotto le ruote della macchina. Ci arrivavano le loro allegre risate, più spesso le urla di aggressiva ammirazione per la barocca architettura dell’automobile. Fermandoci nei vasti spiazzi dei tornanti a guardare la lontana città immersa nella sua caligine azzurra sentivamo lo stormire degli alberi, il fresco fiato della valle che si apriva ai nostri piedi, col largo fiume ghiaioso.
Era un’Italia così intima nel suo riposo da toglierci ogni meraviglia per gli spettacoli che dovevano seguire: la improvvisa corsa di biciclette che si annunciò e ci superò verso Pontremoli, in un festoso arrancare di colori e di grida di incitamento, con quei giovani dall’occhio spento nello sforzo della pedalata e gli ultimi che venivano senza perdersi di coraggio, ma anzi a non far sorridere del loro ritardo; o la giostra all’uscita di un paese, quattro sedili che volavano nel vento, un gruppetto di ragazzi in attesa del loro turno, quei ragazzi della domenica vestiti e ravviati come ometti, l’orlo di un fazzoletto che sbuca dal taschino della giacca; o la fermata ad un passaggio a livello, dove continuavano il via-vai, inchinandosi sotto le sbarre, famiglie anch’esse vestite a festa, le bambine con la borsetta, le mamme col cappotto nuovo, i padri presi dalla giusta malinconia di un pensiero familiare.
Poi, altro inevitabile errore di quell’ormai persa giornata, imbucammo la strada che porta a Viareggio costeggiando il mare."
E' solo un frammento tratto da un racconto di Ennio Flaiano (introduzione a "La domenica degli italiani" album di istantanee di Lori Sammartino 1963,riedizione 2009)
Una domenica d’aprile di fine anni Cinquanta, sulla strada di Pontremoli. Negli stessi anni Kerouac vive e scrive la sua “On the road”. Lo so, è solo una coincidenza e il paragone è avventato. Ma quel periodo, quel paesaggio oggi stinto e irriconoscibile, quella passione curiosa per il viaggio, quel desiderio intimo di uscire dalle umane frontiere mentali induce alla stessa nostalgia. Ed a togliere almeno una sera alla televisione per concederla a Flaiano.
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2 commenti:
Ho letto una recensione di quel libro su una rivista... e l'ho già visto anche in libreria.
Da inguaribile nostalgico e da campione della polemica che detesta certe domeniche degli italiani del 2000, penso che lo acquisterò.
Il testo completo del tacconto è comunque disponibile on line:
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=74024&sez=HOME_SPETTACOLO&ssez=VETRINA
cordialmente
Pompeo
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