Ho visto la stanchezza di questa città. E’ nell’aria e nelle persone.
Stanche di troppe cose. Stanchezze da lavoro e da non lavoro, da vita di coppia o tra amici o ancora tra padri e figli.
Non parlo della stanchezza che sconfina nella malinconia, nella tristezza, nella depressione; parlo di quella che induce allo sfinimento e solo talvolta preannuncia il riscatto.
C’è la stanchezza dei ragazzi al bar dell'angolo, in un’aria stagnante e viziata dalle abitudini, quando i grandi, inerti, non hanno costruito partecipazione e progetto, che pure era un loro compito.
Qualche giovane si muove sull’onda stanca della consuetudine o delle abitudini consolidate, altri vanno oltre e sono partecipi di politica, religione, volontariato. Altri ancora stanno nel mezzo, incerti sul da farsi, a volte paghi di un momentaneo sballo ma stanchi ancor di più.
C’è la stanchezza degli insegnanti, come traspare da una voce senza vibrazioni, in un paese dominato dalla monotonia del pensiero, dalla lentezza comunicativa e dalla acquiescenza .
C’è la stanchezza dei dottori che, in un ospedale vecchio nell’animo, non sanno per quale salute lavorino, se quella dell’ospedale o quella di chi soffre.
C’è una stanchezza contadina o artigiana, autentica e determinata, che ama essere condivisa mentre, con orgoglio, ti porta a bere un bicchiere da Reno.
C’è una stanchezza tutta piccolo borghese quasi dissimulata e vergognosa, per non essere originata dalla fatica, che attraversa la piazza e raggiunge il caffè in attesa dell’ora dell’aperitivo al tavolo fuori.
C’è pure una stanchezza che esula dai luoghi comuni, fisici e mentali, che si dispone a progetti creativi, a partecipazione. La puoi ancora dire stanchezza perché associa disincanto, lentezza e contemplazione ma ha animo e coraggio. Ama progettualità e condivisione nella lenta ricerca di contatti e legami sociali. Giovani, e non più, stanchi ma con una visione di nuove frontiere dove i confini non hanno cittadinanza.
E’ quella parte della città che sa guardarsi allo specchio, riconosce l’importanza e la vitalità della propria stanchezza, si anima, aggrega volontari in associazioni, apre negozi fuori mercato e, non più spettatrice, vuole sperimentare il mondo. Non è partecipe del consueto andazzo quotidiano, ha sguardi di stanchezza ma si propone a un ristoro, a momenti di pace, a esperienza benefica.
Non ho una ricetta contro la stanchezza.
Condivido tuttavia quando leggo che "alla giusta stanchezza non si addice lo stare seduti ma l’alzarsi, andando fuori, nelle strade e tra la gente, per vedere se là magari ci aspetta una piccola stanchezza comune e che cosa ci racconta oggi"*.
(*) special thanks to Peter Handke
1 commento:
Grande, veramente grande, quel "...svegliati non più cubi ma solo quadrati, che ci siamo scialacquati la profondità."
Nulla potrebbe rappresentare meglio il nostro ricorrente appiattimento.
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