sabato 16 giugno 2007

Lettera sul desiderio di fuga


Al momento di partire da Pontremoli per il sud della Francia, zio Francesco non aveva ancora vent’anni. Lo aspettava una vita da muratore, a masticare sabbia e cemento a pranzo e cena. Le sere in cui mio padre andava di ricordi mi parlava di lui raccontando che era emigrato come tanti in quell’inizio di novecento. In realtà, ho poi scoperto, non era andata propriamente così.
Fu quando seppi che, trasferendosi a Parigi, aveva scelto di ripudiare pure il nome e appellarsi François. Ecco, lui non voleva emigrare ma fuggire. Stava scegliendosi una nuova vita attraverso una fuga, un allontanamento definitivo dalle sue radici fino a far perdere le tracce delle proprie origini.
Anch'egli, come molti suoi coetanei, era ossessionato dall'idea di partire, di lasciare questa città, sentita "ostile e accidiosa". Una città che troppo spesso impasta – oggi come allora? - il conformismo con l'assopimento delle coscienze fino a convincerti che una vita da suddito è nel tuo destino e l'impotenza nella tua natura, mentre la vita passa altrove, fuori dai confini. Per schivare quel destino non vedeva altra possibilità che la fuga definitiva, l'abbandono del proprio paese, della sua cultura e della sua lingua.
Fuggire richiede un passo diverso dal puro emigrare e riserva sempre infinite sorprese, ancor più se si esce dalle strade note, se si svolta all'improvviso, senza paura di intoppi, strettoie, sguardi ostili, fermate improvvise, senza temere l'apparente assenza di un approdo.
Non è sempre facile superare il timore dell'ignoto che precede la fuga. Quanta gente ho visto che voleva partire mentre era appena partito il treno. Persone alla ricerca di un ritardo che mascherasse la paura di partire davvero.
Chi fugge si inoltra su strade appartate o seminascoste, chi emigra s'inoltra su strade battute seguendo le orme di altri. Chi fugge è scontento della meta che qui si vede imposta; chi emigra non lo farebbe se qui avesse una meta, anche imposta. Chi fugge odia il posto da cui si allontana, chi emigra almeno lo sopporta. Chi emigra cerca il pane lontano da casa, chi fugge vuole anche le rose. Entrambi affrontano fatiche, occupazioni precarie, a volte soprusi e angherie. Entrambi devono corazzarsi e stare accorti ma chi emigra si aggira smarrito nella terra sconosciuta mentre chi fugge la affronta con spavalderia e a viso aperto.
L’emigrazione e la fuga sono due facce della stessa medaglia – l’ansia di schiudere un passaggio alla propria vita senza arenarsi alla stazione – ma se oggi vogliamo impedire che il nostro futuro sia uguale al nostro passato non è superfluo chiamare le cose con il loro nome e riconoscere il peso e la gravità di quegli eventi di natura diversa che hanno il vizio di tornare sempre, a metterci alle strette

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Per motivi diversi da un po' di tempo sono a contatto con gli immigrati pontremolesi. Non so quanto mi sarei accorta di queste presenze se non ne avessi avuto specifico motivo. Eppure sono una numerosa realtà multietnica. Nel mio piccolo ho personalmente conosciuto: rumeni, albanesi, marocchini, dominicani, cinesi, americani, che costituiscono una realtà di immigrati per motivi di lavoro. Ho conosciuto poi un'altra fetta di immigrati inglesi e sempre di più "milanesi" che aprono attività commerciali, agriturismi, ristoranti, (anche una libreria) mossi dal desiderio di fuga dalla grande città.Gli uni e gli altri stanno portando nuova linfa vitale alla nostra addormentata vecchia città. E' come se il mondo con i suoi problemi e le sue diversità sia venuto a cercarci, a scovarci anche qui, nel nostro rifugio. No, non siamo più soli nel nostro universo.

Barbér Pompeo ha detto...

Gentile anonima, l'esperienza che lei riferisce è una straordinaria tempestiva conferma di una notizia originale inserita nel Rapporto Economia 2007(www.ms.camcom.it), presentato dalla Camera di Commercio di Massa Carrara la settimana scorsa: in Lunigiana è il comune di Pontremoli quello con la quota più rilevante di "imprenditori extracomunitari".
Dunque il dire che gli immigrati sono una risorsa non rappresenta un inquieto auspicio buonista ma una solida banale verità.
E'bello leggere e comunicare notizie confortanti.
Cordialmente